Molestie sul lavoro – L’inchiesta: strategie in ufficio

Le strategie in ufficio: Codici etici, formazione, pareti di vetro, porte aperte, whistleblowin. E la riduzione Inail sui premi alle aziende che dimostrano di aver intrapreso una battaglia attiva contro le molestie.

Prevenire conviene. Perché le molestie sessuali sul posto di lavoro costano. Lo sa la 21st Century Fox, che nel 2017 ha dovuto firmare un accordo da quasi 90 milioni di dollari (con gli azionisti) dopo lo scandalo che è costato il posto all’ex Ceo Roger Ailes, all’ex presentatore Bill O’Reilly e al co-presidente Bill Shine. Mentre una tipica multinazionale nella classifica Fortune 500, spende in media oltre 14 milioni di dollari l’anno a causa di assenteismo, bassa produttività e rotazione del personale per le molestie sessuali (nel 1988 la cifra era di 6,7 milioni). In Italia uno studio specifico sui costi non è stato ancora fatto, ma non è inverosimile immaginare che ci sia anche qui una ricaduta economica, a fronte della stima Istat di 425 mila donne che hanno subìto molestie in ufficio negli ultimi tre anni.

Prevenire conviene. Ed è per questo che le aziende italiane stanno cominciando a fare qualcosa. Non solo perché lo prevede l’accordo quadro sul tema firmato il 25 gennaio 2016 da Confindustria, Cigl, Cisl e Uil (il punto 4 parla della creazione di «un’adeguata procedura»). Conviene, però, anche perché le buone pratiche danno diritto a riduzioni sul premio assicurativo Inail. Spiega Ester Rotoli, direttrice centrale della prevenzione Inail: «Le molesti impattano su qualità del lavoro, sicurezza e salute. Il fenomeno è sottostimato. Con l’incentivo economico, lanciato nel 2017 e che pochi conoscono, vogliamo farlo emergere». A febbraio, data di scadenza per presentare la domanda, lo «sconto» era stato chiesto da 306 aziende: lo 0,81 per cento sul totale.

Le aziende possono fare tante cose, piccole e grandi. La Rai ha adottato un codice anti violenze alla fine del 2017, instituendo la figura della consigliera di fiducia e mettendo a disposizione una mail per le segnalazioni (commissioneperilCodiceEtico@rai.it). La società di consulenza Wise Growth ha creato per i suoi clienti lo sportello «Filo diretto»: un accesso anonimo a persone terze rispetto all’azienda , in cui un esperto aiuta la persona e meglio comprendere cosa sta accadendo, concordando con lei se e come coinvolgere l’azienda e le modalità con cui farlo. Simile a quanto fa Vodafone con Speak Up, una piattaforma esterna per denunciare anonimamente. L’iniziativa segue il road show fatto due anni fa dall’ad Aldo Bisio, quando chiese ai dipendenti cosa si poteva fare per tutelare donne, background, orientamento sessuale e l’inclusione dei più anziani.

Chi denuncia cosa rischia?

Domanda più che legittima: se io vedo un collega mettere in atto un comportamento sconveniente nei confronti di un’altra persona, posso denunciarlo? Rischio ritorsioni? La risposta è sì, posso denunciarlo. E no, non rischio ritorsioni. «Per questo è venuta in soccorso la legge sul whistleblowing (numero 179 del 30/11/2017, ndr), che era stata pensata per il tema delle frodi, ma che di fatto tutela qualunque dipendente o collaboratore che segnali illeciti, di ogni tipo», spiega Tommaso Targa, avvocato dello studio Trifirò & Partners. «La nuova legge è importante perché dà coraggio ai “testimoni”. E serve a stimolare la coscienza sociale». Le tutele, in questo caso, significano garanzia dell’anonimato e protezione dei dati personali. Ma soprattutto, chi denuncia «non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito». Che negli ultimi anni ci sia stata una maggiore attenzione da parte delle imprese lo fa notare anche Luca Failla, socio fondatore dello studio legale LabLaw: «Di fronte alla molestia un’azienda si muove perché non può stare ferma». La procedura in teoria è codificata fin dagli anni ‘90, con la legge 108 del 1990 che sancisce la nullità dei licenziamenti determinati da ragioni discriminatorie, indipendentemente dalle motivazioni. Si sono aggiunte, su questa strada, la legge 125/1991 (ha introdotto la consigliera di parità), il decreto legislativo 196/2000 (ha modificato la disciplina della consigliera di parità), il decreto 198/2006 (codice sulle pari opportunità). Fino al whistleblowing, prezioso perché, come sottolinea Alberto Maggi di Legance, «si fa fatica ad accertare queste cose: il più delle volte mancano le prove». Fanno riferimento al whistleblowing, tra gli altri, Allianz e Fastweb.

La forza dell’esperienza

Altre misure sono nate dall’esperienza e dal buon senso. «Noi abbiamo scelto di utilizzare pareti di vetro, per garantire la massima trasparenza, e di lasciare le porte sempre aperte», racconta Silvia Nencioni, presidente e amministratrice delegata di Boiron Italia. Uffici trasparenti anche nelle nuove sedi delle Poste italiane. Sanofi ha un’assistente sociale in azienda due volte alla settimana (fa parte dell’Issim, l’Istituto per il servizio sociale nell’impresa). Coelmo ha adottato il suo codice antimolestie una settimana dopo la firma dell’accordo con Confindustria, grazie alla lungimiranza di Stefania Brancaccio, vicepresidente della società e cavaliere del lavoro: «Non ho mai creduto nei risarcimenti delle istituzioni, quando arrivi a quello hai già fallito. Bisogna fare un lavoro culturale dall’interno: se un mio dipendente torna a casa consapevole che un suo sguardo può non essere gradito ho vinto». Dalle banche quasi nessun riscontro. Chi è impegnato (e c’è), non lo pubblicizza. Il codice etico di Intesa Sanpaolo prevede un punto di ascolto, ma non è attivo perché il rischio non è considerato superiore a quello della popolazione normale. C’è, infine, chi pensava di essere a posto con le buone pratiche, come Milano Ristorazione, 605 dipendenti donne e 204 uomini. Avevano già un codice etico. Non erano arrivate segnalazioni di molestie. «Poi abbiamo aderito al progetto Libellula, che punta a creare più consapevolezza in ufficio», racconta Fabrizio De Fabritiis, amministratore unico. «Da un sondaggio anonimo abbiamo scoperto 3 casi in azienda. Non ce lo aspettavamo. Ora ci sentiamo in dovere di affrontarlo». Così hanno avviato un corso di autodifesa (anche psicologica) e stanno attivando uno sportello esterno per segnalazioni e consulenze. Non si fa mai abbastanza.

(CORRIERE.IT/BLOG)