Avevano ragione gli economisti inglesi, quando riuniti a fine 2017 dall’Economic research council a Londra pronosticavano un anno nuovo tutto sommato roseo nonostante l’incertezza della Brexit. Ed è sempre così quando si tratta della vecchia Inghilterra: bisogna parlarne mettendoci i piedi nelle scarpe.
I dati di ieri, che non a caso rafforzano la sterlina, non lasciano dubbi: la disoccupazione a fine gennaio è scesa al 4,3 per cento (in Italia è all’i 1 e al sud quasi il doppio), la più bassa dal 1975, in calo dal 4,4 di dicembre e dal 4,7 del gennaio 2017. Non solo, anche l’inflazione è calata del 2,7 e la media degli stipendi salita del 2,8. Insomma, in attesa di capire cosa significhi esattamente la Brexit gli inglesi si sono rimboccati le macchine. E d’altra parte si è trattato proprio di uno choc, che come già altre volte nella Storia del Paese del «business as usual», ovvero si lavora come sempre, ha portato a ridiscutere l’attuale e mettere in campo nuove strategie. Prima tra tutte, l’apertura verso nuovi mercati alternativi all’Unione Europea, in particolare quelli asiatici.
Così non c’è da stupirsi che la sterlina si rafforzi verso dollaro ed euro dopo i dati sull’occupazione, da cui è emersa una ripresa della crescita dei salari, alimentando pure le aspettative di un aumento dei tassi da parte della Banca d’Inghilterra forse già a maggio. La ripresa degli stipendi infatti riduce la differenza con l’inflazione e indica che la stretta sul costo della vita giunge al termine. Insomma, il Regno Unito è sulla strada giusta e la Banca d’Inghilterra potrebbe alzare i tassi più velocemente del previsto. L’Ufficio nazionale di statistica ha riportato che la media dei compensi, compresi i bonus, è salita del 2,8 per cento dal 2,6 del mese prima. Esclusi i bonus, la media dei compensi ha visto un aumento del 2,6 per cento nel trimestre terminato a gennaio. Il tasso di disoccupazione è invece sceso al 4,3, come dicevamo, ed il numero degli occupati ha visto un incremento di 168mila unità, mentre le richieste di sussidio di disoccupazione sono salite di gran lunga a febbraio di 9.200 unità.
Questi dati escono subito dopo la prima intesa sulla Brexit, che durerà fino al 31 dicembre 2020. Tra i nodi principali, i diritti dei cittadini, il conto da pagare e la frontiera tra le due Mande. I primi due aspetti sono stati pressoché risolti. Londra ha accettato che gli europei che si trasferiranno nel Regno Unito durante la transizione (marzo 2019-dicembre 2020) godranno degli stessi benefici di coloro arrivati prima. L’aspetto che rimane da definire è quello irlandese per evitare il ritorno di una frontiera tra Nord e Sud del Paese. Altro caso acuitosi ieri è Gibilterra, la piccola città inglese a sud della Spagna che Madrid vorrebbe tenere per sé all’interno dell’Ue.
(LIBERO QUOTIDIANO pag. 19 · 22-03-2018)