Renzi: “Un milione di posti”, ma il miracolo non c’è

L'ex premier sostiene di essere l'artefice dell'aumento degli occupati da 22 a 23 milioni e promette di salire a 24. Ma l'Istat ha dimostrato che non è stato effetto del Jobs Act.

Il dato arriva sul finale quando, domenica sera, a Che tempo che fa, Fabio Fazio chiede al segretario del Partito democratico Matteo Renzi perché di tutte le emergenze che ci sono in Italia, il Pd consideri prioritaria quella delle fake news tanto da inserirla nel programma. “No risponde Renzi io considero prioritario il lavoro. Se dovessi dire cosa immagino per il futuro è che quando sono diventato premier c’erano 22 milioni di posti di lavoro, oggi sono 23 milioni e per la prossima legislatura bisogna provare a raggiungere i 24 milioni. Un milione per ogni legislatura”. Che Renzi attribuisce a se stesso. I conti però, ancora una volta, non tornano.

I DATI

Gli ultimi numeri provvisori dell’Istat sull’occupazione, a cui fa riferimento Renzi, sono stati pubblicati a fine novembre. Su base annua c’è stata una crescita di 246 mila unità (23.082.000 a ottobre, 5 mila in meno rispetto a settembre). La crescita, spiega l’Istat, si concentra tra i lavoratori dipendenti che salgono di 387 mila (mentre gli indipendenti scendono di 140 mila unità). Di questi, però, ben 347 mila sono a termine e gli ultracinquantenni aumentano di 340 mila unità su base annua, per effetto dell’aumento dell’età pensionabile della riforma Fornero. E se crescono lievemente gli occupati tra 15 e 34 anni (+29 mila) calano in modo significativo i lavoratori nella fascia 35-49 (-123 mila).

I CONTRATTI

Ma di che contratti parliamo? Sull’anno, gli indeterminati aumentano di 39 mila unità, i precari di 347 mila. Guardiamo al dato della nota trimestrale relativa a luglio, agosto e settembre del 2017 (tratta dal Sistema Informativo Statistico delle Comunicazioni Obbligatorie del ministero del Lavoro). Tracciale attivazioni, le trasformazioni a tempo indeterminato e le cessazioni dei rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato. Nel terzo trimestre del 2017, il 14,6 per cento dei contratti di lavoro è durato meno di tre giorni, mentre il 31 per cento è cessato dopo un mese. Stessa percentuale per i rapporti di lavoro durati tra i 91 giorni e i 365 giorni. “La maggior parte delle cessazioni si legge nella spiegazione del dato avviene in corrispondenza della naturale scadenza del contratto a termine; nel terzo trimestre si registrano circa 1 milione e 800 mila cessazioni a termine, pari a circa due terzi delle cause . ai cessazione (66,2 per cento), con un aumento del 20,7 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2016”. Numeri non da poco se si considera che per risultare occupati è sufficiente che nella settimana della rilevazione si sia svolta anche solo un’ora di lavoro retribuito.

RECIDIVA

Renzi ricade nello stesso errore del tweet con cui, la settimana scorsa, elogiava il Jobs Act. Come già spiegato dal Fatto, da febbraio 2014 a ottobre 2017 gli occupati a tempo indeterminato sono cresciuti meno dei precari (505 mila contro 610 mila). Il 94% della crescita degli occupati dipendenti nell’ultimo anno è fatto da precari e gli stabili comunque non hanno l’articolo 18. Rispetto al 2008, poi, manca ancora i milione di “unità di lavoro” (due occupati che lavorano metà tempo fanno una unità). Sul breve periodo, invece, i dati tra agosto e ottobre 2017: l’occupazione cresce esclusivamente a termine (+97 mila), mentre calano i permanenti (-14mila).

CRESCITA GLOBALE

Senza contare che nel rapporto Istat sulle prospettive dell’economia italiana nel 2017, in cui c’è oltretutto il confronto con il 2014, si sottolinea il contributo del rafforzamento del ciclo economico internazionale e l’aumento dell’attività economica nell’area euro. Non solo merito del governo Renzi, dunque. Le ultime osservazioni sono dell’Ocse, secondo cui l’andamento dell’economia globale sta crescendo al ritmo più rapido dal 2010. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, però, è molto più prudente dell’ex premier e avverte: l’avanzamento resta modesto se paragonato agli standard del passato e non sembrano esserci ancora le basi per assicurare una crescita forte e sostenuta nel medio termine, oltre che resiliente e inclusiva.

(IL FATTO QUOTIDIANO pag. 1+4 · 05-12-2017)