ROMA. «Sarà questa forse la volta buona?». Un vecchio turnista dell’Ilva, 25 anni di anzianità, se lo fa ripetere tre volte mentre picchetta l’ingresso dello stabilimento, in sciopero a rotazione per 24 ore: «Ma davvero il ministro non ha partecipato al tavolo? Ma parliamo di Calenda?».
Dall’altra parte della cornetta c’è Rocco Palombella, sindacalista della Uilm, sorpreso anche lui di quello che aveva appena visto: il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, aveva sbattuto la porta in faccia ai nuovi proprietari dell’Ilva, la cordata Am Investco (guidata all’85 per cento dagli indiani di Arcelor), non presentandosi al tavolo convocato con azienda e sindacati.
Calenda ha infatti aggiornato «a data da destinarsi» l’incontro, ritenendo «irricevibile» la proposta di Arcelor. «Chiediamo – ha detto Calenda – il rispetto degli impegni presi sui livelli retributivi e sull’inquadramento dei lavoratori».
Una mossa che, seppur dal governo assicurano massima sintonia, avrebbe preso in contropiede anche la sottosegretaria al Lavoro, la pugliese Teresa Bellanova che, non fosse altro per storia personale e sindacale, avrebbe preferito si cominciasse comunque a trattare. Calenda ha invece sbattuto i pugni offrendo il fianco ai sindacati che, oltre al tema della contrattazione di secondo livello e delle garanzie contrattuali ( no al nuovo inquadramento con il Jobs Act, sì al mantenimento dei vecchi inquadramenti di anzianità), hanno rimesso sul tavolo anche la questione licenziamenti.
Il piano prevede 5.740 esuberi, seppur assorbiti dalla bad company che dovrà occuparsi della bonifica. «Sono numeri che facevano parte dell’offerta, concordata con il governo» dicono da Arcelor. «Ma non con i sindacati» rispondono i metalmeccanici. I nuovi proprietari dell’Ilva si dicono «sconcertati» per la mossa di Calenda. «Eravamo arrivati al tavolo in buona fede con l’obiettivo di raggiungere un accordo» fanno sapere. «Sconcerto immotivato» rispondono dal Mise anche perché il «ministro Calenda aveva recentemente incontrato Aditya Mittal, insieme al vice ministro Bellanova il 21 settembre scorso, chiarendo che non c’era alcuno spazio per mettere in discussione gli attuali livelli retributivi e di inquadramento».
Quelle garanzie, dicono ancora da Ilva, non potevano essere offerte immediatamente ( anche perché chi c’era al tavolo non aveva mandato di modificare l’offerta economica) ma sarebbero dovute arrivare invece al termine di una trattativa con i sindacati che non è nemmeno cominciata. Nel piano iniziale si parlava di uno stipendio lordo annuale di 50mila euro per 8.480 addetti, contro i 52mila per 10.800 addetti che offriva la cordata concorrente, guidata dagli indiani di Jindal.
Arcelor aveva poi alzato la quota degli occupati a 10mila lasciando invariato però il tetto salariale, circostanza che ha fatto scattare la rivolta dei sindacati. Che, tra l’altro, dopo aver trovato la sponda inattesa di Calenda, non hanno alcuna intenzione di mettersi da parte. Oggi hanno convocato a Taranto un nuovo consiglio di fabbrica.
«Tra poco ci sono le elezioni e questa città è stanca: forse è la volta buona per far sentire la nostra voce», sperano, ai tornelli di Taranto.
(LA REPUBBLICA pag. 1+2 · 10-10-2017)