Matteo Del Fante è da sei mesi amministratore delegato delle Poste: «Questo gruppo è un po’ come la nazionale di calcio, ognuno ha una sua idea di che cosa fa e di che cosa dovrebbe fare…». Allora vale la pena cominciare da tre numeri: 137 mila dipendenti, circa 13 mila uffici sparpagliati in tutto il Paese e oltre 30 mila portalettere. «Sono partito da questi numeri per capire quale può e deve essere la missione delle Poste nel Paese».
E quale sarà?
«Il piano industriale sarà pronto nei primi mesi del 2018. Stiamo tirando le fila, prenderemo impegni con tutti gli stakeholder, lo Stato e i soci privati. La cosa più importante è stabilire le nuove direttrici di sviluppo. Partiamo da 13 mila uffici e 30 mila portalettere. È la rete più capillare che ci sia in Italia. Vediamo la chiusura di sportelli bancari e assicurativi, noi no. Il piano prevede un sempre maggiore affiancamento dell’offerta digitale e della presenza fisica. Certo, non possiamo trasformare chi lavora con noi in super esperti di finanza, ma in accompagnatori competenti su prodotti semplici e chiari sì. Questo vuol dire mettere insieme le “app” sui telefonini e il servizio negli uffici».
Lo confessi, il digitale le fa paura con 136 mila dipendenti da gestire…
«No. Non abbiamo nessuna timidezza verso il digitale. E vogliamo creare la nostra leadership. Se restassimo in difesa, in pochi anni avremmo perso. Meglio guidarla che subirla, questa rivoluzione. Dobbiamo valorizzare i nostri 15 mila centri di presenza territoriale, tra uffici e centri di smistamento, che sono le nostre fabbriche. Vogliamo diventare, ad esempio, il numero uno nei pacchi».
Lì il mercato è diventato concorrenziale, molto…
«Molti non si sono accorti che nel settore la concorrenza è entrata da anni, ormai, secondo i conti dell’Authority ci muoviamo, anche per le lettere, in un mondo dove la contendibilità supera di gran lunga il 90%. Un sistema aperto. Bene, tra pacchi e corrieri siamo al 13-14% della quota totale di mercato per ricavi e 22% dei volumi. Poco.. Devo avere l’ambizione di conquistare una quota molto più alta. E possiamo farlo. La vecchia posta cala al ritmo del 10% all’anno, in 8 anni si dimezza, con un mercato con oltre 2,5mila concorrenti. È un fatto. E stiamo reagendo».
Poi c’è Amazon, è un vostro nemico…
«Si sbaglia. È una grande opportunità di crescita per le Poste. È l’unico settore in crescita. Loro consegnano quei volumi, con noi o senza di noi. Sta a noi essere bravi il più possibile. Loro, Alibaba e tutto l’ecommerce è un settore che ci costringe ad accelerare il processo qualitativo».
Altrimenti?
«Affideranno i pacchi a qualcun altro. È il mercato»
Le Poste sono il più grande datore di lavoro del Paese. Come farà a mantenere questa forza lavoro?
«La mia idea è far lavorare insieme il canale fisico e quello digitale. Non sono sistemi alternativi, si completano. Difficile far diventare un dipendente che per anni ha fatto un mestiere un super consulente finanziario per prodotti complicati. Dobbiamo essere dei buoni accompagnatori di una navigazione intelligente nella scelta dei prodotti adatti alle esigenze e al profilo di rischio dei cittadini, questo sì. Questa è la nostra idea».
A proposito di risparmio, le Poste e la Cdp hanno perso l’occasione di Pioneer…
«Nel mondo del risparmio quello che conta, ormai, non sono le fabbriche prodotto ma la distribuzione. Stiamo continuando a investire su questo, distribuire in modo efficace prodotti finanziari che contengono un maggior valore. Quello che conta è il cliente e noi ne abbiamo 33 milioni».
E Anima?
«Siamo azionisti, abbiamo la buona volontà di formalizzare un accordo. La volontà c’è, ma se guarda i numeri i pesi tra Poste e Anima sono molto diversi. Stiamo scegliendo i nostri compagni di viaggio e lo faremo con molta attenzione visto che la nostra rete fa la differenza».
In questo rimescolamento delle carte, Poste Vita si è ritrovata a superare Generali e tutti gli altri nella raccolta delle polizze vita? Diventerete assicuratori?
«Stiamo guardando ad altre forme di protezione danni per i nostri clienti, visto che siamo i primi nel vita».
C’è una gran fibrillazione nel settore dei pagamenti. Apple pay, sempre Amazon…
«Le do solo un dato: attraverso le Poste passano quasi un quarto delle transazioni segnalate all’Uif e un quarto delle transazioni on line vengono realizzate con le nostre carte. Siamo soci della Sia al 15% e sui pagamenti elettronici puntiamo a un ruolo di primo piano. Per questo abbiamo creato una unità operativa che tiene insieme pagamenti, mobile e digitale».
Lei è in Poste da sei mesi, il piano sarà pronto nel 2018 ma qualche cambio di manager lo ha già fatto?
«Stiamo formando la squadra, penso che per portare avanti un progetto di questa portata siano necessari almeno 300 dirigenti che aiutino il management a realizzare le idee. Ora l’azienda è strutturata in quattro unità: assicurativa, finanziaria, postale e commerciale, che sono quelle storiche alle quali ho aggiunto quella dei pagamenti. Quasi 4 milioni di clienti usano le nostre sim, siamo già oggi il quarto operatore del mercato».
Che magari non “parlano” con il sistema dei pagamenti…
«Appunto. Visto l’evoluzione delle sim come borsellino elettronico, dovranno parlarsi sempre di più. Rendere l’esperienza per il cliente sempre più semplice e gradevole con la possibilità di ricevere i pacchi anche il sabato e la domenica. Come si usa dire adesso, l’ingaggio deve essere forte. Se resto in difesa tra 7 anni le Poste potrebbero non esserci più».
Ora sta esagerando…
«Le ho detto che Amazon è un’opportunità, ma dobbiamo coglierla. Sono convinto che possiamo avere un ruolo trainante nel digitale, aiutare il Paese in questa trasformazione. Possiamo e dobbiamo farlo».
Il potenziamento del settore dei pacchi è certamente una sfida, ma che cosa sta succedendo? In questi giorni le proteste stanno riguardando molti poli?
«Da una decina di giorni, presso i nostri principali centri di smistamento e distribuzione stiamo subendo una protesta strumentale delle sigle sindacali Cobas. È a repentaglio la tenuta economica della nostra azienda di logistica, SDA, e di conseguenza è a rischio concreto il lavoro di migliaia di maestranze dirette e indirette dell’indotto dell’ecommerce. Si tratta di una situazione incredibile e paradossale in uno dei pochi settori in cui cresce fortemente la domanda. Bisogna trovare la strada per tornare alla normalità».
Siete un’azienda centauro: quotata in Borsa con un forte dose di presenza e ruolo pubblico.…
«È chiaro. Non dimentichiamo la nostra natura di servizio pubblico, negli uffici c’è lo Sportello amico, stiamo ampliando l’offerta con alcuni servizi che riguardano le Asl, il catasto, l’Anagrafe. Ma non è possibile che per riconoscere un dipendente come funzionario pubblico (condizione necessaria per offrire questo tipo di servizi, ndr) si debba aspettare mesi per un decreto. Siamo certamente di supporto alla istituzioni e abbiamo una responsabilità di sistema ma abbiamo anche un conto economico da far quadrare».
Come se ci fossero due Poste, due mondi diversi…
«La verità è che ci sono due Poste. Una Posta presente in aree extraurbane, piccoli centri piccoli presidi con uffici con una o due persone. Un vero e proprio ponte dello Stato in questi territori e poi una Posta che è nei centri urbani che vive una competitività sempre più forte. Ecco il piano industriale dovrà tenere conto di queste due anime».
A proposito della Nazionale e dei luoghi comuni sulle Poste, ne dica uno che ha cancellato quando è entrato?
«Quando sono arrivato ho trovato due piani dove erano stati avviate dal mio predecessore le attività digitali. Sembra di stare alla Silicon Valley. Tutti con pochi anni di anzianità in azienda, non più di 35 anni di età, pareti piene di scritte con formule e dati, nessun computer fisso»
Non se lo immaginava…
«Ammetto di no. Adesso vorrei replicare quel modello aperto anche ad altre parti dell’azienda. Vengono da BancoPosta, dall’It, dalla security, dalla comunicazione. Dunque le competenze che si mescolano. E sono in grado di dare risposte velocemente. Prima ci sarebbero volute decine di riunioni. Ora basta entrare in questo laboratorio e tutto è più veloce. Come deve essere».