II problema, purtroppo, è sempre più diffuso. E senza una svolta rischia di devastare i conti pubblici.
Certo, perfino in Sicilia non c’è più la leggina, abolita verso la fine del 2011 dall’assessore Caterina Chimici, che oltre quindici anni dopo la riforma Dini, come spiegò il procuratore generale della Corte dei Conti isolana Giovanni Coppola, consentiva ai dipendenti regionali di «andare in pensione con soli 25 anni di contribuzioni, o addirittura 20 se donne, solo per il fatto di avere un parente gravemente disabile».
Privilegio che aveva permesso a un giovane dirigente, Pier Carmelo Russo (che anni dopo minaccia denunce per stalking a chi vorrebbe riparlarne, Barbara D’Urso compresa!) di andarsene in quiescienza a 47 anni, l’età dell’attrice Rachel Weisz, con 6.462 euro netti al mese per accudire il vecchio papà infermo, che peraltro viveva altrove. Impegno gravosissimo ma non tanto da impedirgli, la settimana dopo, di diventare assessore regionale all’Energia.
Per non dire di altri casi come quello mitico di Giovannella Scifo, in pensione nel 2008 a 40 anni dopo 18 di lavoro. «Non le pare esagerato?», le chiese Antonio Rossitto di Panorama. E lei: «Non posso risponderle: c’è la privacy».
Il caso Sicilia
Abolite quelle storture demenziali, sono rimaste però quelle denunciate ieri, appunto, dal governatore: «E possibile che sui 3mila dipendenti 2.350 possano usufruire della legge 104?». Sia chiaro: che i disabili siciliani a partire dai non-autosufficienti vivano in situazioni di estrema difficoltà a causa dell’insufficienza di strutture, della mancanza di fondi e di sciatterie inaccettabili è fuori discussione. Basti ricordare le denunce durissime delle Iene, di Fiorello e Jovanotti e soprattutto di Pif sui ritardi imputati a Rosario Crocetta. L’aiuto della famiglia non è solo utile: è vitale. Ma che un dipendente regionale su 4,5 possa avere un disabile a carico… Come se la «104» fosse data a 594mila dipendenti pubblici da Trapani a Vipiteno.
Spiega il rapporto dell’Inps 2016 che «la disabilità è prevalente tra le persone più anziane e le generazioni maggiormente a rischio di non autosufficienza avranno un peso crescente passando da meno di un quinto a un terzo della popolazione italiana» e che secondo la Ragioneria Generale la spesa per la non-autosufficienza rispetto al PIL passerà dall’1,9% del 2014 al 3,2% nel 2060. Costi pesanti, per quanto insufficienti, per l’assistenza diretta e l’assegno di accompagnamento. Aggravati da quelli per i permessi retribuiti previsti dalla «Legge 5 febbraio 1992, n. 104». Legge, meglio ripeterlo, sacrosanta. Ma che proprio per questo non può essere occasione per abusi. Dal 2012 al 2016, per dire, i «fruitori per familiari» della 104 sono passati tra i dipendenti privati da 279.242 a 363.430. Un aumento del 30%. In cinque anni. Giusto? Boh…
A fine 2015, dice il rapporto Inps, i beneficiari «con almeno un permesso» di tutti quelli retribuiti con la legge 104 e il successivo decreto legislativo 151/01 («prevede la possibilità per genitori o, in loro assenza, per fratelli e sorelle di genitori di persone con handicap gravi di usufruire di due anni di congedo retribuito» esteso poi «in casi particolari anche ai parenti e affini fino al terzo grado) sono stati circa 450 mila. Con un costo di circa 1,3 miliardi di euro.
I numeri nel Pubblico
E tra i dipendenti pubblici? Pare impossibile: l’Inps non lo sa. I numeri, gestiti direttamente dallo Stato e dalle varie amministrazioni pubbliche, sfuggono al controllo dell’Istituto presieduto da Tito Boeri. Costretto a ricorrere a valutazioni che, per quanto affidate a centri studi di spicco, troppo «scientifiche» non sono. Su 3.305.313 dipendenti «si può stimare che i permessi retribuiti per assistere le persone in disabilità grave siano fruiti da circa 440 mila soggetti». Risultato: «Stimiamo che il numero medio procapite annuo di giorni di permesso (…) fruiti nel settore pubblico sia quattro volte superiore a quello fruito nel settore privato: fino a 6 giorni nel pubblico contro 1,5 nel privato». Con «un costo ombra stimabile in oltre un miliardo di euro ai quali si aggiungono altri 600 milioni circa» coi congedi «straordinari usufruii sulla base del D.Lgs 151/2001». Totale: oltre tre miliardi. Destinati a crescere.
«Troppi? Se dovesse farsi carico di tutta l’assistenza ai disabili, senza la nostra supplenza, lo Stato dovrebbe spendere di più», dicono i familiari, le associazioni, le Ong. Vero. A maggior ragione, come dicevamo, vanno puniti i furbi. Come la docente siciliana in permesso beccata a una gara di tango ad Amsterdam e assolta «perché il pm derubricò il reato da truffa a “indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”». O il dipendente provinciale di Pordenone che, come ha scritto il Gazzettino, «avrebbe fruito di 415 giornate di congedo straordinario retribuito per assistere l’anziana madre invalida». Madre già assistita da un altro figlio «e due badanti». Licenziato per truffa aggravata ma reintegrato da un giudice del lavoro (che aveva disposto pure un risarcimento) è stato infine messo fuori una volta per sempre. Ma che fatica… E non parliamo di certi dubbi: possibile che tra i dipendenti privati ci siano 7.017 persone con almeno due famigliari a carico e che molti ne abbiano tre o perfino quattro? E la leggenda dell’anestesista napoletano che era arrivato ad accumulare i permessi per occuparsi di ben sei disabili?
Ancora più smaccati però, proprio perché vanno a danno di chi ha diritto davvero alla «104», sono i giochi sui trasferimenti di sede. Soprattutto nel mondo della pubblica istruzione.
Prof e istruzione
Dice uno studio di Tuttoscuola su dati Miur che «rispetto alla media nazionale del 10% di professori delle superiori che si sono avvalsi della precedenza della “104” nei trasferimenti da una provincia ad un’altra» la percentuale nel Nord Ovest «è stata soltanto del 2,3%, nel Nord Est dell’1,8% e nel Centro del 4,6%» contro il 23,5% della Sicilia o il 24% della Calabria.
Per non dire delle materne e delle primarie. Per l’anno 2017/2018 «un maestro su 5 si è avvalso della precedenza per assistenza a familiari con disabilità. Tra questi, il 90% ha richiesto il trasferimento al Sud. In particolare, il 75% in sole tre regioni: Campania, Calabria e Sicilia. C’è quindi un grande squilibrio». Tiriamo le somme: «uno su Zoo al nord, più di uno su 2 nel Meridione», spiega la rivista di Giovanni Vinciguerra. Basti ricordare le quote regionali: 0,0% di spostati grazie alla «104» in Friuli, 0,7% in Veneto, 0,9% in Piemonte e nelle Marche… Contro il 37,2% in Puglia, 66,6% in Campania, 72,9% in Sicilia, 79,5% in Calabria. Record assoluto, tra le province, Agrigento: 100%.
E meno male che la magistratura aveva già avviato le inchieste arrivate proprio in questi giorni alle prime sentenze. Nove condanne, dieci patteggiamenti, una sola assoluzione, quarantotto rinvii a giudizio. Ma è solo l’inizio. Peccato che gli imbroglioni non saranno rispediti dove stavano. La legge non lo prevede…
(CORRIERE DELLA SERA pag.1+14/5 · 06-04-2018)