Amazon, braccialetto o no, siamo tutti spiati

A causa dei nuovi telefoni la privacy è morta: ormai viviamo in un Grande Fratello collettivo.

Ha dato origine ad una polemica accesa in tutto il mondo la notizia che il colosso Amazon avrebbe intenzione di fare indossare ai suoi lavoratori un braccialetto ad ultrasuoni, inventato dall’ingegnere elettronico e informatico Jonathan Cohn, 30 anni, al fine di accelerare i tempi di smistamento delle merci nei magazzini. Questa sarebbe la ratio ufficiale di un simile provvedimento, in realtà l’intenzione dell’azienda potrebbe essere quella di monitorare mediante il dispositivo ogni movimento dei suoi dipendenti non al fine di agevolarli, bensì di massimizzare la loro efficienza e quindi anche la produttività aziendale.

«Una cosa come quella in Italia non ci sarà mai», ha chiarito il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda in occasione di un incontro con i vertici di Amazon. Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha cinguettato su twitter: «L’Unione Europea è fondata sulla libertà e la dignità della persona, a cominciare dal lavoro. È inaccettabile considerare l’essere umano come robot o peggio». «Se in Italia si possono mettere dispositivi sui lavoratori per controllarli è grazie al Jobs act. Io sono contro questo provvedimento che permette ad aziende anche partecipate dello Stato di mettere chip nelle scarpe dei lavoratori o braccialetti per controllare i dipendenti», ha tuonato Luigi Di Maio.

Dello stesso avviso Roberto Speranza, di Liberi e Uguali, che ha dichiarato che l’adozione del braccialetto potrebbe costituire il sacrificio della «civiltà del lavoro sull’altare del profitto». Insomma, i politici italiani non convergono su nulla, tranne che sulla condanna universale del brevetto di Amazon, che trasformerebbe i lavoratori in cagnolini dotati di microchip.

TROVA I MIEI AMICI

Eppure tutti sembrano ignorare il fatto che ognuno di noi è continuamente monitorato mediante il proprio smartphone, che fornisce ad altri utenti informazioni sempre aggiornate e precise sulla nostra posizione ed i nostri spostamenti. I nostri contatti sanno sempre in tempo reale, che lo vogliamo o meno: quando ci connettiamo, quando siamo online, quando non lo siamo, quando apriamo un’applicazione, come instagram, o facebook, e quando la chiudiamo. Insomma, è ridicolo un sistema che si preoccupa di tutelare la privacy e la libertà del lavoratore quando di fatto sono ormai erose privacy e libertà del cittadino e della persona. Tracciare la localizzazione di un iPhone è un giochino da ragazzi e non è necessario essere un agente segreto o un hacker per farlo con successo.

Esistono diversi strumenti utili a questo scopo nonché app che svolgono proprio questa funzione e che vengono usate, ad esempio, dai genitori che vogliono seguire le attività dei loro figli, o da coniugi o fidanzati gelosi che desiderano essere sempre aggiornati su ciò che sta facendo il partner e dove si trovi, ovviamente a sua insaputa. Mediante un’app chiamata “find myfriends”, pre-installata su certi dispositivi, possiamo sapere se gli iPhone dei nostri amici di facebook o dei nostri contatti sono nei paraggi, localizzando anche i loro indirizzi sulla mappa.

Tramite la app ‘find my iPhone” alcuni anni fa un mio ex monitorava ogni mio movimento, sapeva sempre dove mi trovavo, quanto mi trattenevo in un determinato luogo, quando uscivo da casa e quando rientravo. Il tutto senza che io ne sapessi niente. Restavo stupita ogni volta che mi chiedeva: «Ma cosa ci facevi li a quell’ora? Come mai ti sei fermata mezz’ora?». Eppure mai avrei potuto immaginare di essere spiata, credevo sempre che avesse visto la mia macchina passando da quello stesso luogo o che qualcuno mi avesse incrociata, comunicandoglielo distrattamente. Ancora non sapevo che nell’era della tecnologia, che pure sembra che ci abbia semplificato l’esistenza, viviamo tutti in una sorta di gigantesco Grande Fratello.

Eppure ci indigniamo davanti ad Amazon che annuncia di volere rendere più facile il lavoro dei suoi dipendenti liberandogli le mani da ogni dispositivo e mettendogli al polso una sorta di computerino, capace di avvertirli quando fanno un piccolo errore. Ci facciamo sorvegliare da amici, parenti, conoscenti, estranei, fidanzati, genitori, figli, ma dal datore di lavoro no, sarebbe vergognoso, indecente, lesivo della dignità umana. Persino i gatti domestici australiani vengono attualmente dotati di gps affinché il governo possa tracciare le mappe dei loro spostamenti una volta che escono di casa. Il progetto si chiama “Cat tracker Australia” e ha come obiettivo lo studio delle abitudini e del carattere dei felini, che per ora non sono insorti contro questa iniziativa.

MANIA DI CONTROLLO

Qualche sera fa ero in compagnia di una mia amica ed il suo cellulare suonava in continuazione. Ad un certo punto mi ha detto: «Scusami, sono solo le notifiche di whatsapp. Ogni volta che il mio fidanzato si connette o si disconnette mi arriva un messaggio, in cui mi viene indicato l’orario nonché la durata del tempo in cui lui si è trattenuto in chat. È un’applicazione fighissima». Come siamo arrivati a questo punto? Da dove nasce questa mania di controllare tutto, persone incluse? Certo è che essa stessa ci sta sfuggendo di mano, è una sorta di delirio di onnipotenza, anzi di onnipresenza. Siamo tutti malati. Per questo puntiamo il dito contro Amazon: per ignorare le nostre colpe. Gli spioni sono loro, mica noi.

E quanto al mio ex, è facile immaginare come sia andata a finire una volta che ho scoperto il suo trucchetto. Ma questa è un’altra storia.

(LIBERO QUOTIDIANO pag. 10 · 05-02-2018)