Il postino italiano ruba 15mila euro sul lavoro. Il giudice: le Poste devono riassumerlo

Il Signor Postino ruba 15mila euro, centesimo in più centesimo in meno. Che fanno i capi? Lo trasferiscono, lo sospendono, e dopo la condanna in primo grado lo licenziano, come è giusto che sia. E invece poi arriva un altro giudice, che non solo lo reintegra, ma gli fa avere tutti gli stipendi arretrati e pure il rimborso delle spese legali. Perché sarà pure un ladro, ma è una vittima, e va premiato.

Non è il remake con qualche furto in più e qualche omicidio in meno de “Il postino suona sempre due volte” ma la trama, ancor più thriller, di una vicenda consumatasi nella sede centrale delle Poste di Vasto. Là, nell’estate del 2012, il dipendente P. R. ruba dalla cassaforte 14.500 euro, e viene incastrato da un’ intercettazione in cui si mostra intenzionato a restituire il maltolto temendo di essere scoperto: «Mi sa che mo’ che glieli riporto», dice. Due mesi più tardi l’ azienda lo trasferisce a Chieti e poi lo sospende, non appena il giudice per le indagini preliminari dispone nei suoi confronti le misure cautelari. A seguito dell’ istanza dei suoi avvocati e della fine del provvedimento restrittivo, l’ impiegato viene reintegrato nel maggio 2014, sempre nell’ufficio di Chieti. Intanto però, nell’agosto 2016, arriva la sentenza penale di primo grado: P. R.

viene condannato a un anno e nove mesi (con pena sospesa) per appropriazione indebita. A quel punto, nell’ottobre dello stesso anno, Poste Italiane provvede a licenziarlo. Il licenziamento viene tuttavia impugnato dai legali del postino, che si appellano al giudice del Lavoro. E qua si compie il “miracolo”. La giudice del tribunale di Chieti, Ilaria Pozzo, decide il reintegro del postino e dispone anche che gli vengano versati gli stipendi arretrati (circa 1.860 euro al mese) oltre alle spese legali, pari a 7mila euro. Con quali motivazioni?

Leggete un po’: «La società», scrive la giudice, «sin dall’ottobre 2012 disponeva di tutti i dati sufficienti per poter procedere a una contestazione disciplinare. Non si giustifica quindi l’ attesa della sentenza di condanna per la formulazione della contestazione, che deve ritenersi irrimediabilmente tardiva» da cui «l’ illegittimità del licenziamento». Riassumendo, Poste Italiane ha sbagliato a essere troppo garantista nei confronti del suo dipendente, a temporeggiare prima di licenziarlo e a dargli un residuo credito di innocenza fino alla sentenza di condanna. No, secondo la giudice del Lavoro, avrebbe dovuto licenziarlo in tronco. E, siccome non lo ha fatto, adesso deve reintegrarlo e restituirgli il maltolto (perché stai a vedere che, alla fine, chi ha sottratto soldi al dipendente sono addirittura le Poste e non il contrario). Complimenti. Veramente un capolavoro di logica aristotelica. Tu rubi.

L’ azienda è comprensiva e ti licenzia solo molto tempo dopo. L’ azienda deve immediatamente ridarti il posto. Pensi allora che questo potrebbe diventare un precedente interessante in un doppio senso. Da un lato, un liberi tutti ai ladri: ma sì, rubate pure, intascatevi i risparmi degli italiani, tanto se non vi licenziano subito, vi ridaranno il posto di lavoro, i soldi vostri e magari pure quelli che avete rubato. Dall’altro, le aziende, al primo sospetto di un furto possibile, non provato, o comunque non ancora condannato, inizieranno a inviare (per posta, va da sé) lettere di licenziamento. Alla faccia del principio di innocenza e del garantismo spicciolo.

Ma c’ è un ulteriore e gustosissimo paradosso. Nei mesi in cui era stato riammesso nell’ufficio di Chieti dopo la fine delle misure cautelari, P. R. sostanzialmente non aveva avuto un incarico perché sistemato lì, quasi parcheggiato, in attesa delle sentenza. E a questo potrebbero appellarsi i suoi legali per fare e, chissà, vincere una causa per demansionamento. Sarebbe il colpaccio finale. A quel punto, ci manca solo che i dirigenti gli facciano pure le scuse formali in diretta tv. Magari a “C’ è Posta per te”.

(LIBEROQUOTIDIANO.IT)