È la notizia di questi giorni: Ryanair, la principale compagnia di voli low cost europea, ha dichiarato la soppressione ci circa 2 mila voli in autunno per una media giornaliera di 50 aerei al giorno in sei settimane; questa decisione coinvolgerebbe circa 400 mila passeggeri che si vedranno costretti a trovare un altro vettore o a rimandare la partenza con il primo veicolo disponibile.
Questa situazione non ha precedenti e potrebbe costare caro all’azienda, non solo in termini economici (si stimano almeno 25 milioni di euro di rimborsi) ma anche e soprattutto per l’immagine del gruppo.
Cosa sta succedendo veramente? L’azienda minimizza e spiega che si tratta di un problema relativo alle ferie non godute degli equipaggi, in seguito al lavoro intenso del periodo estivo e rassicura, tramite le parole del Ceo O’Leary, che “oltre il 98% dei nostri clienti non sarà interessato dalle cancellazioni”.
La questione, però, appare ben più complessa e si legherebbe alla situazione del mercato del lavoro continentale e alle politiche del personale interne a Ryanair, almeno stando alle varie testimonianze che, da tempo, è stato possibile trovare su blog e siti di informazione ma che, con questa piccola crisi sono arrivate alla ribalta sulla stampa main stream.
Non è sicuramente una notizia di oggi che la produttività media di un pilota Ryanair sia molto elevata, così come il suo salario sia ben più contenuto rispetto alle grandi compagnie di linea. Ed è proprio su questo punto che si dipanerebbe la questione che vede la compagnia irlandese protagonista in questi giorni.
Diversi concorrenti, sia nel settore low cost sia in quello tradizionale, hanno cambiato strategia commerciale, divenendo più aggressivi e puntando su nuove tratte. La conseguenza logica di questi nuovi piani industriali è la ricerca di nuovo personale qualificato e, stando alle voci sempre più insistenti, sembrerebbe che negli ultimi mesi Ryanair abbia subito la fuga di diverse centinaia di piloti verso i competitor che si stanno affacciando sul mercato, in primis la Norwegian.
Interessante, a questo proposito, la testimonianza di un ex pilota della compagnia che è apparsa recentemente su La Stampa, in cui si descrive il trattamento contrattuale interno a Ryanair. Dalle sue parole si scopre che esiterebbero due tipi di contratto: uno come dipendente e uno come collaboratore autonomo.
Il primo, che sarebbe riservato a circa un terzo dei piloti, è un classico contratto di lavoro con le relative guarentigie; il secondo, invece, legato ad agenzie interinali irlandesi, permetterebbe di incassare un emolumento sensibilmente più alto a livello nominale ma senza la previsione né di ferie né d malattia, a cui andrebbero sottratte tutte le spese che gravano su ciascun pilota, come addestramento, alberghi, parcheggi in aeroporto e, addirittura, divisa, cibo e bevande a bordo.
Se questo fosse vero sarebbe evidente che, riapertosi il mercato del lavoro, i dipendenti (o i parasubordinati) più penalizzati andrebbero alla ricerca di condizioni di lavoro migliori e, una volta trovate, non avrebbero alcun problema a dare le dimissioni oppure a non accettare le tratte proposte come collaboratori. Questo discorso vale, ovviamente, sia per i piloti sia per il personale di bordo, le cui dimissioni facilmente potrebbero mettere in crisi l’intera programmazione dei voli.
Finora si è usata una forma dubitativa per descrivere la situazione, anche perché sembrerebbe assurdo che un’azienda leader di mercato (e che opera in un settore dove efficienza e sicurezza devono essere assicurate ai massimi livelli) possa attuare delle politiche interne così penalizzanti per il personale. Tuttavia, la comunicazione via email che il direttore operativo della società, Michael Hickey, ha inviato a tutti i piloti parrebbe avallare questa tesi.
Qui si annuncia, infatti, la possibilità di ottenere un bonus di 12 mila euro per i comandanti e di 6 mila per i primi ufficiali, pagabili a ottobre 2018, se nei prossimi 12 mesi effettuassero più di 800 ore di volo, rinunciando però a 10 giorni di riposo; si annuncia, in più, quasi la triplicazione dei rimborsi per il pernottamento fuori sede (da 28 a 75 euro).
Al di là delle strumentalizzazioni del caso, comunque, questa storia potrebbe essere assunta a prova della bontà di un mercato del lavoro fluido rispetto a uno ingessato, da situazioni contingenti o da iper regolamentazione. Se fosse vero che Ryanair sfruttasse e sottopagasse il personale allora, per non soccombere, dovrà rivedere e riprogettare tutte le politiche di remunerazione e di welfare interne per competere con i concorrenti e tenersi piloti e personale di bordo; se, invece, tutto questo fosse un’esagerazione mediatica a seguito di un mero problema organizzativo interno, il caso si gonfierebbe nei prossimi giorni e la compagnia irlandese continuerà come fatto fino ad oggi, tertium non datur.
Per ultimo un inciso: si accennava poc’anzi all’iper regolamentazione che è un problema serio nella fluidità e nell’efficienza dei mercati, soprattutto del lavoro. Non si vuole intendere con questo che non debbano esistere delle regole che devono essere chiare, snelle e tassative, esattamente come in un gioco da tavolo, se si passasse la semplificazione, anche per evitare forzature o elusioni sfruttandone i “punti ciechi”. Ed è qui che si snoda la vera sfida tra le parti, aziende, singoli e associazioni di categoria, nei prossimi anni.
(interris.it)