Ecco perché il Jobs Act è stato un flop

Siamo al punto di tre anni fa. Assegno di ricollocazione, ammortizzatori attivi, dati condivisi: non è partito nulla previsto dalla riforma

Faremo, aggiungeremo, predisporremo. Il libro dei sogni dedicato alle politiche attive in Italia è pieno di verbi coniugati al futuro. Peccato che questi propositi siano un po’ datati. Li sentiamo snocciolare da tempo. Quelli che due anni or sono erano impegni, sono entrati a pieno diritto nei cahiers de doleance di oggi. E a scriverceli sono spesso gli stessi cui competeva l’attuazione delle politiche attive del lavoro. La verità è purtroppo molto più semplice e deludente rispetto alla fantasie governiste che hanno segnato gli ultimi anni. Tranne il superamento dell’articolo 18 e gli incentivi alle assunzioni (che hanno funzionato in parte ma hanno funzionato) il Jobs Act rischia di diventare una grande incompiuta.

Ci scopriamo a parlare di elenchi dei disoccupati e di posizioni disponibili messi in comune, tuttora di là da venire. Quando la Legge Biagi, nel 2003, prevedeva la Borsa lavoro, con dentro tutte queste informazioni. E altre. Ci troviamo a discutere di assegno di ricollocazione e ammortizzatori attivi. Roba che doveva essere già a regime da tempo. E non c’è ancora.

Faremo, aggiungeremo, predisporremo. Il ritornello è sempre lo stesso.

(LIBERO QUOTIDIANO pag. 20/21 · 04-05-2018)